NOSTALGIA? FORSE SI…

 

NOSTALGIA? FORSE SI...

 

 

Vi ricordate quando...

Vi ricordate quando…e mi tuffo nei ricordi…i ricordi di una scuola che era prima di tutto socialità; i ricordi di vecchi giochi e di letture fatte insieme; i ricordi di sincere amicizie…ma non perché io voglia chinare il capo al passato o esorcizzare la modernità, ma perché convinta anch’io che “tradizione è custodire la fiamma, non venerare le ceneri”.
E, allora, due sono le riflessione che prioritariamente, da docente, mi vengono in mente.

La prima: vi ricordate quando… felici, si usciva la mattina da casa, a piedi, cartella sulle spalle, certi di andare a scuola?
In quest’ultimo anno abbiamo assistito a tutt’altro: oggi si va, domani no, per alcuni giorni saremo in DDI, si ritorna in presenza, riprende la DAD…

Ancora una volta, e da appassionata di politica mi dispiace dirlo, chi sta ai vertici del comando ha commesso grossi errori. La pandemia c’è, si diffonde e probabilmente dovremo rassegnarci e conviverci ancora per lungo tempo; in questo contesto la tutela del diritto alla salute va garantita, certo, ma ancor più, forse, va garantito il diritto all’istruzione, tappa fondamentale della crescita di ognuno di noi.

Dopo la famiglia, la scuola è la principale agenzia di socializzazione e formazione della personalità del bambino o del ragazzo; la scuola è studio, cultura, conoscenza, apprendimento, ma anche solidarietà, reciprocità, relazione e, appunto, socializzazione. E’ a scuola che nascono e si alimentano affetti ed amicizie, alcune delle quali rimarranno per tutta la vita; è a scuola che i bambini iniziano ad interagire con adulti esterni alla famiglia, figure significative nello sviluppo della loro autostima.

Nell’affrontare questa emergenza, nel ragionare sull’organizzazione, temo, però, che sia venuta meno la certezza del suo valore. Molti docenti abbiamo trascorso l’estate scorsa a reperire locali, a misurare, a disporre banchi, ad attaccare adesivi, ad organizzare gruppi classe, a trovare soluzioni; durante questo anno a scuola tutte le regole sono state e continuano ad essere rispettate, per garantire agli alunni una frequenza costante e in sicurezza. Tutto questo, però, non è servito, perché quello che è mancato è stato l’impegno fuori dalle mura scolastiche: nel sensibilizzare e responsabilizzare ragazzi ed adulti al rispetto delle norme anti-Covid e nel ricercare soluzioni innovative sul piano organizzativo tali da garantire standard di sicurezza adeguati all’emergenza che stiamo affrontando.

In questo momento di grande problematicità, l’insegnamento da remoto, nuovo per tutti e difficile da affrontare, è stato uno stimolo e ha dato un incoraggiamento, ha permesso di non fermarsi e di continuare l’attività didattica, ha dato la possibilità di stare insieme e di non chiudersi in sé stessi, ha fatto mantenere un legame con la quotidianità; dunque non metto in discussione la chiusura della scuola, perché se necessaria andava e va fatta, ma le decisioni altalenanti e la mancanza di fermezza, che hanno generato nei bambini, e non solo, paura, per quello che potrà succedere e ansia, perché non ci sono più certezze.

E’ la stabilità che ci permette di fare delle scelte, di realizzare un progetto, di raggiungere un obiettivo; allo stesso modo i bambini hanno bisogno di riferimenti concreti per poter essere sereni. È la quotidianità che li fa sentire sicuri e collegati col mondo. Se gli adulti perdono la certezza, e non la ricreano, l’ansia che si genera inevitabilmente si rifletterà su di loro. E’ importante restituire ai bambini e ai ragazzi un senso di tranquillità e di sicurezza, ristabilire i ritmi della loro quotidianità, e nel contempo educarli a rispondere positivamente ai cambiamenti, facendo capire che anche le difficoltà sono risorse e fonte di insegnamento, perché aumentano la forza interiore e la capacità di resilienza.

E’ volare troppo in alto sperare che l’enorme povertà educativa e sociale portata dal Covid possa finalmente essere lo stimolo per unire tutti: politici, dirigenti, docenti, famiglie, nello sforzo di limitare e per quanto possibile diminuire nei nostri ragazzi la confusione, l’ansia, la paura che ormai fa parte del loro essere?

E’ volare troppo in alto sperare che si capisca che l’istruzione dei nostri figli è l’investimento più proficuo che possiamo fare? Non dimentichiamo le parole di Nelson Mandela: l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo, perché permettono di aprire la mente, conoscere ciò che ci circonda, costruire il nostro futuro.

 

 

Seconda riflessione: vi ricordate quando… noi da bambini giocavamo in mezzo alla strada? Per divertirsi bastava poco. Non c’era quell’infinità di giocattoli di adesso; ci bastava il campanaro o le cinque pietre, il nascondino, il gioco del fazzoletto, gli album delle figurine, gli aquiloni e i carri a pallini da noi costruiti, il Monopoli, per chi se lo poteva permettere, i bastoncini, la Dama; e poi ancora la lettura e lo scambio di giornalini come Topolino, Tex, Zagor o Comandante Mark.

E il tempo passava come d’incanto, non permettendoci di conoscere la parola noia, anche perché non si era mai soli! Poi, non appena faceva buio, si tornava a casa: non avevamo i cellulari (ma conoscevamo l’orologio, quello analogico, o ci affidavamo al sole), sapevamo che era quasi ora di cena e bisognava rientrare, anche per dare una mano.

Oggi i bambini non giocano molto: vanno al doposcuola, frequentano le palestre e le scuole di danza, conoscono ed usano il digitale, saltellano col telecomando tra centinaia di canali televisivi (la TV è diventata ormai una baby-sitter!!!). Ma attenzione a chiamarli giochi; “giocare” è, per etimologia “scherzare” (dal latino “iocare”). Si gioca quando si torna a casa con i vestiti sporchi, con le ginocchia sbucciate, dopo aver parlato, scherzato, riso e, perché no, litigato e fatto pace con un amico. Ma anche qua, non possiamo dare la colpa ai ragazzi. Essi sono solo il frutto di un albero che sta crescendo male. È bene fare anche un “mea culpa” ogni tanto, per noi adulti che siamo tutti troppo impegnati e non abbiamo più il tempo per stare con i nostri bambini.

Ma perché questa fretta? Perché non torniamo ad apprezzare insieme a loro le cose semplici, perché non torniamo a trasmettere loro gesti educati e gentili, come il sorridere e il salutare gli altri; perché non ci fermiamo un attimo a giocare con loro?
Il tempo passa, va avanti e non si torna indietro. La vita di oggi è diversa e la mia nostalgia dei tempi passati, come già detto prima, non è una critica alla modernità o una condanna all’uso della tecnologia. Ma fare, creare, impastare sono attività che sviluppano i cinque sensi, favoriscono il coordinamento, stimolano la creatività, sono fonte di conoscenza; quando un bambino costruisce qualcosa è soddisfatto di sé stesso: questo contribuisce alla formazione della sua autostima e sviluppa la sua capacità di sbrigarsela da solo.

Restituiamo ai bambini la possibilità di scoprire ed esplorare la realtà che li cironda attraverso esperienze di tipo manuale; impastiamo una pizza o una torta, ritagliamo, costruiamo qualcosa insieme; troviamo anche il tempo di parlare con loro, ascoltiamo le loro paure, le loro ansie, i tanti perché, così impareranno anche loro ad ascoltare. Incoraggiamoli, sosteniamoli, ma non ci sostituiamo a loro in tutto, lasciamoli liberi: di sperimentare, di rompere, di smontare e perché no, anche di sbagliare. Non solo li aiuteremo a crescere, ma regaleremo dei ricordi felici ai nostri bambini.

Facciamo tesoro di quanto realisticamente afferma Corrado Alvaro nel suo “Gente in Aspromonte”: l’uomo è il prodotto dei suoi errori; sono stati fatti e ne abbiamo fatti tanti; laddove è possibile, non continuiamo.

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