MANFROCE, UNA VITA TRA AMORI E TEATRO
by Madreterra Magazine Palmi · 21 Maggio 2021
MANFROCE, UNA VITA FRA AMORI E TEATRO
di Antonio Gargano
Altri articoli del numero 37 L'INCREDIBILE STORIA DEL NUOVO OSPEDALE DI PALMI... di Ernesto Mancini LA NOSTRA TERRA E LE CERTEZZE DI PAVESE di Arcangelo Badolati LA CALABRIA E I CALABRESI di Carmela Gentile LEGALITA' VS. NORMALITA' di Antonio Salvati RISTORAZIONE: IL FUTURO PASSA PER L'AGGIORNAMENTO E L'INNOVAZIONE di Walter Crircì IL POPOLO DI MEZZO: MIMMO GANGEMI di Arcangelo Badolati GENTE DI CALABRIA di Chiara Ortuso LA DANZA DELLA VITA di la Redazione ALAN LOMAX di Federica Legato LA TORRE SARACENA di Eugenio Crea IL SANTO CONTESO - SAN ROCCO PALMI di Giuseppe Cricrì AHIME', POVERA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO, ORMAI SENZA NAVE E SENZA NOCCHIERE di Ugo Squillace
Oggi, per qualche palmese, Manfroce è solo un nome di un teatro chiuso o il titolare di una strada del centro. Forse, per i più attenti, sarà anche la bella statua, ora quasi coperta da due invadenti pitosfori, che si incontra nel viale centrale della Villa Comunale.
Ma, vi prego, fermiamoci un attimo ad osservarla con attenzione e saremo colpiti dalla sfrontata bellezza del volto di un giovinetto (non a caso è opera di un grande scultore, quale Francesco Jerace, gloria e vanto della vicina Polistena). Se poi, addirittura, avremo la pazienza di fermarci a leggere l’ormai consunto epitaffio, scopriremo che la statua fu posta dal Municipio di Palmi il 9 luglio 1913, nel primo centenario della morte di questo sfortunato giovane.
Ma leggeremo e ne sapremo qualcosa in più: questo quasi sconosciuto personaggio era un musicista morto giovanissimo a Napoli nel 1813. Doveva essere considerato davvero importante da meritare una statua in villa, scomodando uno scultore celebrato!
Che dire poi del nome dato ad un’Associazione musicale che da quarantacinque anni continua testardamente a proporre musica?.
A questo punto, auguriamocelo, vi starete chiedendo, parafrasando Manzoni, Manfroce, chi era costui?
E’ arrivata l’ora – ce la concede Madreterra – di cercar di dare qualche risposta a questa angosciosa domanda!
Domenico Manferoce (che terribile cognome! poi via via contratto nel più gradevole “Manfroce”, forse anche per un errore di ortografia), futuro padre del Nostro, è un musicista apprezzato in quel di Cinquefrondi, un paesucolo che sta stretto al nostro Artista (questa intraprendenza, vedremo, sarà una caratteristica della famiglia!), il quale decide di trasferirsi a Palmi, cittadina che all’epoca, siamo intorno al 1780, è in pieno boom commerciale.
Il tumultuoso sviluppo del porto a Pietrenere richiama mercanti ed armatori da tutta Europa, allettati dalla grande quantità di olio che vi si commercia: è il “lampante”, di non eccelsa qualità, buono per essere utilizzato per i lampioni di Marsiglia, ma anche utilissimo quale lubrificante per le macchine della nascente industria europea.
Non era un caso, quindi, che Palmi potesse permettersi l’unica Cappella musicale della zona, stipendiando un musicista che componesse ed eseguisse musiche per tutte le feste comandate e per le funzioni liturgiche giornaliere. Per un artista consumato come Domenico conquistare il posto di Kappellmeister (come lo chiamavano in Austria e Germania) fu agevole: chiamò la moglie, Carmela Repillo, e la famiglia intera ed andò ad abitare in Via delle Muraglie (Il Decurionato palmese intitolerà, poi, a Manfroce proprio questa strada, insieme all’odierna Piazza Cavour).
Arrivò purtroppo il devastante terremoto del 1783 – “il flagello”, come fu poi chiamato per le terribili devastazioni che causò in tutta la nostra zona – che colpì anche la famiglia Manfroce, con la morte di Alfonsina, una “congiunta”. Vennero distrutti completamente anche tutti gli insediamenti costruiti a Pietrenere. Iniziò così il lento ma inesorabile declino economico di tutta la comunità, che si sarebbe concluso negli anni venti del nuovo secolo, con il declassamento della dogana, a beneficio di Gioia Tauro, allora poco più di un borgo con meno di cinquecento abitanti.
La catastrofe provocò anche la distruzione del “bel teatro” cittadino che “addossavasi alle mura di Carlopoli”. Va detto, per inciso, che la voglia di quella che oggi chiamiamo “cultura” dei palmesi era così appassionata, da trasformare subito una chiesa sconsacrata in teatro, in attesa di costruirne uno nuovo. Non vi date peso! Per averlo i nostri concittadini dovettero attendere fino al 5 febbraio 1893, centodieci anni! (… e poi ci agitiamo tanto ancora oggi per avere un teatro: prendiamo esempio dai nostri progenitori e… aspettiamo! Manca ancora tanto per arrivare a centodieci!)
Questa lunghissima chiacchierata ci ha accompagnato fino al 20 febbraio 1791, data di nascita di Nicola Antonio Manfroce, che comincerà prestissimo a farsi largo.
Come? Ne parleremo la prossima volta.
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