IL SANTO CONTESO – SAN ROCCO A PALMI
by Madreterra Magazine Palmi · 21 Maggio 2021
La città LEGO
IL SANTO CONTESO
PER STRADA E IN TRIBUNALE
di Giuseppe Cricrì
Altri articoli del numero 37 L'INCREDIBILE STORIA DEL NUOVO OSPEDALE DI PALMI... di Ernesto Mancini LA NOSTRA TERRA E LE CERTEZZE DI PAVESE di Arcangelo Badolati LA CALABRIA E I CALABRESI di Carmela Gentile LEGALITA' VS. NORMALITA' di Antonio Salvati RISTORAZIONE: IL FUTURO PASSA PER L'AGGIORNAMENTO E L'INNOVAZIONE di Walter Crircì IL POPOLO DI MEZZO: MIMMO GANGEMI di Arcangelo Badolati GENTE DI CALABRIA di Chiara Ortuso LA DANZA DELLA VITA di la Redazione ALAN LOMAX di Federica Legato LA TORRE SARACENA di Eugenio Crea
La storia che stiamo per raccontarvi, accaduta più di un secolo fa, fu certamente coperta dall’oblio, sarebbe forse stata cancellata dalla memoria se la curiosità della ricerca nel passato e il riaffiorare di antichi documenti, nei nostri archivi, non avesse disvelato episodi inconsueti ed alquanto imbarazzanti.
Per Palmi e per i suoi abitanti San Rocco assurge da tempo immemore al ruolo di protettore della Città ed è oggetto di uno speciale culto che vede nella devozione e nell’ attaccamento alla sua figura taumaturgica di intercessore, espressioni di puro amore e di grande venerazione. Nei momenti di dolore, di speranza, di difficoltà, durante il succedersi di pestilenze, conflitti e terremoti, il Santo di Montpellier è sempre stato presente nei pensieri, nelle preghiere e nei cuori dei palmesi, pronti a far voto e a ricambiare così le grazie ricevute.
La statua realizzata in legno di tiglio sarebbe stata scolpita da sapienti mani attorno al 1600, le fattezze e l’espressione del volto conferiscono all’osservatore gli effetti di una intensa suggestione che non lascia indifferente chi si appresta alla preghiera.
I palmesi già da allora dedicarono un tempio al glorioso Santo ed una speciale commissione composta da parecchi cittadini detti Procuratori, celebrandone la festa nell’agosto di ogni anno, amministrava le offerte e i doni dei fedeli,. In un elenco dei Luoghi Pii di Palmi, del 26 Feb. 1777 viene già indicata la venerabile chiesa di S. Rocco, procuratore Can. Don Francesco Baghalà, (come da certificato dell’Archivio di Stato di Napoli fol.7 vol. II.)
Nel 1899 vennero completati i lavori di ristrutturazione della chiesa Matrice dedicata al Patrono, San Nicola, (che sorgeva nell’attuale Piazza Amendola) e il collegio dei canonici, che fino ad allora aveva utilizzato come sede temporanea la chiesa di S. Rocco, ivi si trasferì e quest’ultima venne invece dichiarata filiale della Matrice.
Fu allora che il direttivo della congrega dell’Immacolata, che aveva la sua angusta sede nella chiesetta, denominata “‘Mmaculateddha” attigua a quella di S. Rocco, iniziò ad avanzare pretese sulla proprietà del tempio, asserendo di averlo edificato con i propri proventi. Il Vescovo pur consapevole della inesattezza di tale asserzione concesse alla Congrega l’uso della chiesa di S. Rocco, per favorire una maggiore solennità delle feste, affinché però ciò accadesse sempre sotto la vigilanza del parroco.
Accadde che già dal 1903 a seguito di alterne rivendicazioni fra il clero e i laici della Congrega, sorgessero dei contenziosi alquanto incresciosi che costrinsero il tribunale di Palmi, nel luglio del 1908, a pronunciarsi, dichiarando la Congrega proprietaria della chiesa di S. Rocco. Ma un evento alquanto singolare, quanto deplorevole sarebbe presto accaduto,
Nell’agosto 1908 la commissione dei Procuratori con a capo il sig. Carmine Costa raccolse i doni, celebrò con gran pompa la festa del Santo. Terminate le celebrazioni, spogliata la statua del cappello, del bastone e di tutti gli altri oggetti di metallo prezioso, la chiuse nel solito armadio.
Stavano così le cose quando alle 5.20 del 28 dicembre 1908 il devastante terremoto sconquassò il tempio di S. Rocco abbattendone il prospetto e parte del tetto.
Nell’immediatezza dell’accaduto ciascuno dei componenti della congrega provvide a salvare se stesso ed i propri familiari, ma nei giorni seguenti si convenne che era il caso di mettere in salvo dai crolli copiosi e dalla pioggia, gli oggetti sacri scampati alla distruzione, sicché, il 18 gennaio, una folla di popolo radunata dai membri della Procura, aprì un varco fra le macerie e portò fuori la statua di S. Rocco che fu collocata nella piazzetta omonima, ove con l’obolo dei fedeli fu costruita una chiesa baraccata, aperta al culto. Nei giorni seguenti la folla dei fedeli fece altrettanto con un’altra baracca, ove fu collocata la statua dell’Immacolata e dove si pose a funzionare la congrega.
In questa nuova chiesa temporanea, nell’agosto 1909, fu celebrata la festa.
Verso la fine dell’anno il nuovo priore della Congrega dell’Immacolata, sig. Francesco Mancuso, si presentò nella chiesa baraccata di S. Rocco, affermando che tanto detta baracca, quanto la statua del Santo, si appartenevano alla congrega e perciò egli avrebbe avuto il diritto di prenderne possesso.
L’intraprendente priore aveva osato troppo e a quel punto nella popolazione montò una tale incontenibile rabbia che la folla voleva lapidarlo, avvenne un tumulto e molte invettive vennero lanciate contro di lui tanto che occorse l’intervento deciso della forza pubblica che lo dovette proteggere anche per parecchie domeniche successive, sottraendolo all’ira popolare.
Venuta meno al priore Mancuso l’escogitata presa di possesso, egli ricorse con un atto giudiziario del 27 dicembre 1909 col quale istituì giudizio di spoglio della universalità di mobili, cioè arredi sacri e statue esistenti nella crollata chiesa, contro don Francesco Cardone, don Saverio e don Giuseppe Margiotta e De Francia Gaetano e figlia Carmela. Furono disposte e raccolte la prova e la riprova ed indi fu riprodotta la causa ed istanza dei convenuti.
Nella realtà la Congrega non ebbe mai neanche un possesso qualsiasi della Statua di S. Rocco poiché il Regio Commissario col certificato del 20 maggio 1909 attestava non solo che la procura di S. Rocco venne sempre nominata dalla rappresentanza municipale, ma sempre la detta procura ebbe la cura e la custodia della statua del Santo la quale era collocata nella chiesa a lui intitolata e che tutte le argenterie ad essa statua inerenti furono sempre e sono tuttora in deposito fiduciario presso uno dei procuratori a ciò designato (fogl.2 vol. II).
Pertanto si addivenne che il trasporto della statua fuori dalla chiesa nelle condizioni in cui era avvento non avrebbe mai potuto essere ascritto ad una azione di spoglio, costituendo invece una negotiorum gestio cioè vista la situazione contingente la gestione di affari altrui quando il soggetto assume consapevolmente e senza esservi obbligato la cura dell’interesse di chi non è in grado di provvedervi.
Si stabilì che l’aver messo al sicuro la statua e gli altri arredi sacri, quando i rappresentanti della congrega pensavano alla custodia dei loro beni, più che un fatto doloso fosse stato un fatto lecito, che rientra nella categoria di quei fatti che la legge, precisamente a vantaggio degli affari altrui, eleva a fonte di una serie di obbligazioni reciproche tra il gestore ed il gestito.
Per cui in ogni caso sarebbero mancati gli estremi dello spoglio. Non vi fu violenza né clandestinità. Nessuno scassinò armadi, né ruppe muri, tutto avvenne in pieno giorno di fronte ad una immensa folla, L’azione di spoglio venne considerata inammissibile e si rigettò la domanda della congrega, condannandola a sua volta alle spese giudiziarie.
Fu proprio il caso di dire…scherza coi fanti, ma lascia stare i Santi!
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