GRAMSCI, LA CULTURA E L’UTILITÀ DELL’INUTILE

Madreterra Magazine Palmi

 

GRAMSCI, LA CULTURA E L'UTILITÀ DELL'INUTILE

L'EDITORIALE di Arcangelo Badolati

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LA TERRA DEI RÈPACI di Rocco Militano
UN MAUSOLEO PER UN PACIFICO RIPOSO di Rocco Militano

 

GRAMSCI, LA CULTURA E L'UTILITÀ DELL'INUTILE

L'EDITORIALE DEL DIRETTORE

 

Una torre aragonese abbandonata alle sferzate del vento; la casa lasciata in eredità da un scrittore innamorato di scogli, agavi e mirti, rimasta senza destinazione e futuro; un cinema colmo di ricordi riammodernato e mai più riaperto; un “anfiteatro” che guarda all’austero monte Aulinas e al mare di Glauco e Scilla, ridotto a guardiano delle tempeste; un golfo incantato, ricco d’impronte millenarie e tracce d’un principe greco, reso accessibile e poi vandalizzato; la pietra su cui sedette Belzebù squassata e coperta di rovi; un sentiero che taglia la montagna come una lunga ferita inferta dalla natura ormai prigioniero della sua stessa bellezza; il piazzale che un tempo ospitava un albergo lasciato in preda ai marosi e alle erbe selvagge e salmastre; una spiaggia animata da segrete energie ricattata dalla pioggia di massi infernali che incombono e minacciano chiunque s’avvicini ad accarezzarla. E’ nascosto nei luoghi più amati il dolore di Palmi. Tra il realizzato e l’irrealizzato si consuma infatti il destino d’una comunità bella e malinconica sempre più simile a quel letterario “scogghiu sulu” di cui scrisse la sublime poetessa Maria De Maria. La forza della cultura che ha animato sin dal Seicento, grazie ad Andrea de Concublet, le opere di artisti, musicisti, filosofi e scrittori, lentamente si spegne sotto l’incedere del tempo e l’immobilismo degli uomini. Eppure non v’è ricchezza più grande di quella custodita tra i posti incantati e le strutture antiche e moderne che ciascuno di noi sin da bambino sente come proprie. E’ sul recupero, la conservazione e la loro valorizzazione che deve indirizzarsi ogni collettivo sforzo, ciascun atto politico, qualsiasi scelta amministrativa. E’ all’utilità di ciò che può apparire inutile – per dirla con Nuccio Ordine – che dobbiamo guardare. Ai posti e alle storie dobbiamo dedicare l’azione e l’impegno appassionato prima che a faraoniche infrastrutture e investimenti milionari. In quei posti e in quelle storie vive una parte di noi e di quanti furono prima di noi. Lì c’è l’anima collettiva, il seme d’un popolo colto che non può perire nell’indifferenza, dimenticato tra le pieghe di convenienze di sorta e bieche contingenze di potere. E’ alla maestosa immaterialità della nostra cultura, custodita nei luoghi e nei narrati, che dobbiamo anelare per ritrovarci. Scriveva Antonio Gramsci: «La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri». Questo è il cammino perduto che dobbiamo riprendere.

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